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C’è la guerra! Come parlarne con i bambini

La guerra è un evento che genera paura e insicurezza sia negli adulti sia nei bambini. Per i bambini, che non hanno ancora strumenti cognitivi ed emotivi sufficienti per comprendere appieno ciò che accade, il rischio è ancora maggiore. Spesso infatti i piccoli intercettano frammenti di notizie in televisione, a scuola, o captano le preoccupazioni dei genitori senza però riuscire a significare ciò che sta accadendo. Per questo motivo, non parlarne non significa proteggerli: al contrario, può aumentare confusione e ansia.

 

Come adulti di riferimento, possiamo svolgere un ruolo fondamentale nell’aiutare i bambini a dare senso a ciò che sentono e a sentirsi contenuti e al sicuro soprattutto di fronte ad eventi dolorosi o spaventanti come la guerra.

Prima di dare spiegazioni però è sempre utile chiedere al bambino cosa sa e cosa ha capito. Le sue parole sono infatti la finestra attraverso cui possiamo valutare il livello di esposizione e di preoccupazione.

Domande semplici come: “Hai sentito parlare della guerra? Cosa pensi stia succedendo?” ci possono aiutare ad aprire un dialogo costruttivo e rassicurante.

 

Molti bambini tendono infatti a immaginare scenari peggiori di quelli reali soprattutto quando non hanno adulti con cui confrontarsi. Poterne parlare e chiarire i fraintendimenti riduce l’ansia. Non è detto che tutti i bambini siano spaventati, in alcuni casi possono addirittura essere indifferenti all’argomento; anche in questo caso è bene rispettare i loro tempi, restando disponibili al dialogo e all’ascolto.

 

La cosa importante è tenere sempre presente che per sentirsi al sicuro i bambini hanno bisogno di sentirsi dire la verità, con parole semplici e proporzionate alla loro età ma in modo assolutamente onesto e non mistificato.

 

         •       Per i più piccoli (3-6 anni): bastano spiegazioni brevi e rassicuranti, ad esempio: “Ci sono persone che litigano molto forte e questo si chiama guerra, ma tu qui sei al sicuro.”

         •       Per i bambini in età scolare (6-10 anni): si possono fornire spiegazioni più articolate, mantenendo però un linguaggio semplice e concreto.

         •       Per i preadolescenti e adolescenti: è utile discutere anche degli aspetti sociali e politici, sempre rispettando la loro sensibilità.

 

L’obiettivo non è fornire una lezione di storia, ma rispondere ai bisogni emotivi del bambino, proteggendolo da sovraccarico eccessivo di informazioni.

 

Infine un aspetto da non trascurare è che di fronte ad eventi come la guerra uno dei rischi più significativi per la salute psicologica infantile è l’impatto visivo di immagini violente: esplosioni, corpi feriti, distruzione. La mente dei bambini non ha ancora la capacità di elaborare queste scene che possono configurarsi come delle vere e proprie esperienze traumatiche.

 

Gli studi di psicologia dell’emergenza mostrano che l’esposizione ripetuta a immagini cruente può avere effetti simili a un trauma vicario, aumentando paure, incubi e sintomi d’ansia.

 

È importante dunque proteggere da questa esposizione i bambini:

         •       Evitando di lasciare telegiornali o social media accesi in loro presenza.

         •       Utilizzando fonti di informazione selezionate e, quando possibile, mediate da un adulto.

         •       Offrendo spiegazioni verbali, che consentono un maggior controllo sul contenuto.

 

 

Ogni bambino reagisce in modo diverso a questi eventi: paura, tristezza, rabbia o apparente indifferenza. Nessuna reazione è sbagliata. È fondamentale accogliere ciò che provano e comunicare che le loro emozioni sono legittime.

 

Frasi utili possono essere:

         •       “Capisco che ti senti spaventato, è normale.”

         •       “Anche gli adulti a volte si preoccupano, ma possiamo parlarne insieme.”

 

Questa condivisione offre contenimento emotivo e rafforza la fiducia nel legame con l’adulto.

 

Soprattutto di fronte a notizie come la guerra I bambini hanno bisogno di sapere che il loro ambiente immediato è stabile e protetto e trovare adulti disponibili al dialogo e disponibili a fugare i loro dubbi fa sentire i bambini al sicuro.

 

Protezione non significa negazione. È importante mostrare che, anche in situazioni difficili, esistono gesti di solidarietà e persone che si prendono cura degli altri: volontari, medici, organizzazioni umanitarie. Coinvolgere i bambini in piccoli gesti di aiuto – come raccogliere vestiti per i rifugiati o scrivere un messaggio di pace – li fa sentire parte attiva e capace di contribuire al bene comune.

 

Parlare di guerra ai bambini non significa dunque esporli alla crudezza della realtà, ma accompagnarli a comprenderne gli aspetti essenziali, proteggendoli da ciò che non possono elaborare e offrendo contenimento emotivo.

 

Le parole chiave sono tre:

         •       Verità calibrata: spiegazioni semplici e chiare, senza dettagli traumatici.

         •       Protezione: limitare l’esposizione a immagini e notizie crude.

         •       Speranza: trasmettere fiducia, sicurezza e la certezza che non sono soli.

 

Così, anche in tempi di incertezza, i bambini possono sentirsi visti, accolti e protetti.

 

 
 
 

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Dott.ssa Elisa Ciani  

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