La sedia per pensare
- cianielisa
- 8 ott
- Tempo di lettura: 2 min
Avevo poco più di vent’anni e da un po’ lavoravo con i bambini. Nell’asilo in cui ero impiegata c’era una bimbetta di quasi tre anni, Gaia. La mamma, stremata dalla sua inesauribile vivacità, aveva deciso di iscriverla: era una bambina impegnativa, sì, ma anche brillante e intelligente.
Mentre tutti i piccoli al pomeriggio si addormentavano, lei restava sempre sveglia: non c’era modo di convincerla a chiudere gli occhi. Ricordo un pomeriggio in particolare, uno dei tanti in cui la sua energia sembrava metterci davvero alla prova. All’epoca pensai che fosse “quel giorno difficile”, ma oggi credo che non fosse lei il vero problema. Piuttosto, era la nostra inesperienza a renderci così affaticate nel gestire il tempo con lei.
Un giorno, dopo l’ennesima marachella, non sapendo più che fare le dissi “Adesso ti siedi su questa seggiolone e pensi a quello che hai combinato!”. La lasciai, in quel tempo che io immaginavo come riflessione per una decina di minuti. Poi mi avvicinai e le chiesi “Hai pensato?”, lei subito annuì con la sua testolina. “Bene” dissi “a che cosa hai pensato?” e lei mi rispose candidamente “A Winnie The Pooh”
Quello fu un momento in cui mi sentii una sciocca, era ovvio. Come poteva una bambina di 3 anni riflettere da sola?
Ed è proprio qui che, con il tempo e gli studi, ho compreso una verità fondamentale: la cosiddetta “sedia del castigo” o “sedia del pensare” non funziona con i bambini.
I motivi sono diversi:
1. Maturazione cognitiva ed emotiva
Un bambino non ha ancora sviluppato le capacità di pensiero astratto e metacognitivo necessarie per “riflettere” autonomamente su ciò che ha fatto. Per lui il tempo trascorso seduto non è introspezione, ma solo attesa o frustrazione.
2. Bisogno di co-regolazione
I bambini non sanno ancora regolare da soli le proprie emozioni (ricordiamo che il cervello termina la sua maturazione in età adulta!). Hanno bisogno dell’adulto come “specchio” e guida: solo attraverso la relazione imparano a nominare ciò che provano e a comprendere le conseguenze delle proprie azioni.
3. Rischio di disconnessione
La sedia del castigo isola e interrompe il legame nel momento in cui, invece, il bambino avrebbe più bisogno di sentirsi contenuto e compreso. Questo può aumentare la sua rabbia o la sua insicurezza, senza aiutarlo a crescere.
4. Apprendimento reale
I bambini apprendono non attraverso la punizione, ma tramite la relazione, l’esempio e la ripetizione di gesti e parole coerenti. Se vogliamo insegnare loro a riflettere, dobbiamo farlo insieme a loro, accompagnandoli con un linguaggio semplice: “Hai fatto questo, è successo questo, ora possiamo provare in un altro modo.
Così, ripensando a Gaia e a quella sua risposta buffa e genuina, sorrido: lei aveva ragione a pensare a Winnie The Pooh. Perché a quell’età, la fantasia è molto più accessibile della riflessione morale. E il vero compito dell’adulto non è isolare, ma accompagnare, contenere e guidare, aiutando il bambino a mettere insieme i pezzi di ciò che vive.
Grazie Gaia che con la saggezza pura caratteristica dei bambini mi hai insegnato davvero qualcosa di prezioso!







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